L’orma asciutta della gioia

Spicchio_di_cielo

Gioia e dolore sono doni ugualmente preziosi che bisogna assaporare a fondo,

ciascuno nella sua purezza, senza cercare di volerli mescolare.

Il corpo partecipa ad ogni apprendistato

[ S. Weil ]

Nel libro “L’eloquenza delle lacrime”, struggente di bellezza e di passione di Jean Loup Charvet, un capitolo è incentrato sulla gioia, quando fa piangere. Le lacrime, nella loro fragilità e nella loro inconsistenza, si nascondono in un sorriso. Alle volte l’anima è colma di una tenerezza così grande, che si trova improvvisamente bagnata. La gioia è un’emozione che vive nel presente, spesso esce fuori da momenti di ombra e di fatica,dal dolore. E’ un momento senza vincoli e senza tempo: non la si può trattenere. Scrive Rilke in una Lettera: “ la felicità ha il suo contrario nell’infelicità, la gioia non ha contrario. Gioire è immensamente diverso dall’essere felici. Nella gioia non è possibile inganno”. Si realizza nel qui-e-ora. E’ un attimo. Un istante. Non c’è passato e nemmeno futuro.

La gioia -scrive Borgna nel suo libro “Le emozioni ferite” – ci ricorda la tossicomania, e non solo quella alcoolica, “perchè in quella condizione si vive in un mondo sigillato del tempo vissuto ed è una esperienza di estatica ebrezza”. Pertanto la vita non appare più statica, ma “esce-da- sè” [ es-statica ]ed in questa ebrezza, si avanza per attrazione, per passione. E’ dinamica. Ed essendo dinamica, può dilagare. Quando l’ebrezza dilaga, la gioia le si accompagna al di là e al di sopra del tempo. In questa condizione si dileguano pertanto il dolore e la sofferenza. E’ una esperienza, l’ebrezza, che ci eleva al di sopra della nostra solitudine. Non si ha più bisogno dell’altro e si consuma un distacco radicale con ciò che ci fa stare male. Ne consegue, che nell’ebbrezza viene meno una forma dialogica con la realtà, che si avvicina all’an-estesia, trasfigurazione dionisiaca della gioia stessa. Beethoven, nella sua nona Sinfonia, mostra l’altro volto della gioia: la gioia quando è autentica, non può rimanere chiusa in noi, ci porta fuori dai nostri confini, vuole essere “partecipata”. E’ allora così mutevole la gioia: tanto intensa da mutarsi in lacrime, potente da anestetizzare, fragile da smarrirsi velocemente dopo un istante e così struggente da diventare amore. Quando osservo gli occhi di una mamma che dopo mesi di lutto di nuovo sorride, o gli occhi di un bambino che ritrova inaspettatamente il gioco che aveva perso nella stanza, mi sembra che la gioia arrivi da latitudini indicibili. E che ci sia una correlazione fra la gioia e il tempo, fra la gioia e la ferita. Una correlazione così stretta, come scrive Simone Weil, che va assaporata fino in fondo. Con coraggio. Autenticamente. Nelle parole di Etty, ecco chiara la correlazione:

Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, che non veda i forni, non veda il dominio della morte, sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e questo piccolo spicchio di cielo ce l’ho nel cuore, e in questo piccolo spicchio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza. Non ci credete? E’ così.”

Correlazione struggente, seguendo la traccia delle parole di Simone Weil, “senza cercare di voler mescolare”, queste due immagini e condizioni. Esperienze che sono viste dallo sguardo e dal cuore di Etty, e che sono non solo esteriori, ma anche interiori, così profondamente umane. Appartenenti a tutti noi. La gioia di quello spicchio di cielo che Etty rivive, è una testimonianza diamantina di questa emozione, così inafferrabile e così forte insieme.

 

Ci sono cunicoli tra i sogni,

li ho infilati vegliando

fianco a fianco al respiro

come in riva ad un fiume di spilli

contando i salti

nel fitto

della memoria senza vista.

Lasciati guidare

dall’orma asciutta

della gioia.

Livia Candiani